La tradizione italiana della scienza delle finanze ha il suo carattere distintivo nell’intreccio indissolubile tra teoria positiva e normativa della finanza pubblica. In ciò che Francesco Ferrara, al quale si deve una precoce definizione dell’imposta come prezzo, identificò prima dell’unificazione italiana nella relazione tra concetto storico e concetto filosofico di imposta. E che si ritroverà nelle elaborazioni di tutti gli economisti, i quali anche in apparente contrasto tra loro fondarono ed animarono la scienza delle finanze negli anni dal 1883 agli anni quaranta del Novecento: da Maffeo Pantaleoni, Antonio de Viti de Marco, Ugo Mazzola, Luigi Einaudi, Benvenuto Griziotti, Mauro Fasiani a Ezio Vanoni, Sergio Steve, Cesare Cosciani ed il gran numero di studiosi che forniranno contributi significativi alla disciplina. Il cui cardine sarà riconosciuto nella centralità della spesa pubblica come fondamento del prelievo delle imposte, nella piena consapevolezza del condizionamento politico e senza cedimenti ad ipotesi di Stato minimo. Pantaleoni è il primo, nel 1883, ad applicare il marginalismo al processo della decisione di bilancio. E de Viti de Marco è il più nitido e originale teorico della relazione tra spesa pubblica e imposte, entro la concezione storica delle ipotesi di Stato monopolistico e democratico. La finanza democratica avrebbe avuto il suo connotato distintivo nella libera competizione di gruppi sociali e partiti sotto il controllo continuo della collettività: così per de Viti, come per Mazzola ed Einaudi. La natura politica del fenomeno finanziaria sarà preminente nella concezione sociologica della finanza pubblica, dapprima con diverse sfumature in Achille Loria, Carlo A. Conigliani, Amilcare Puviani, Giovanni Montemartini e poi sotto l’influenza della sociologia paretiana in Gino Borgatta e Griziotti. A partire dagli ultimi anni cinquanta del Novecento, la natura economica e politica della decisione di finanza pubblica della scuola italiana avrà una influenza decisiva sugli sviluppi della Public Choice di Buchanan. E per altro verso nella Public Finance di Musgrave.

L’indagine della relazione tra Stato e mercato attraverserà tutta la scuola italiana, ma rinunciando a concezioni astratte a favore della comprensione delle complesse relazioni tra finanza pubblica ed economia. Cosicché la costruzione della finanza democratica non doveva esaurirsi nella giustizia tributaria ma comprendere la valutazione che la collettività dei contribuenti compie dello scambio tra ricchezza privata e spesa pubblica, tra imposte e azione dello Stato. Allo studio degli istituti concreti della finanza pubblica e alla politica tributaria, verranno dalla scienza delle finanze contributi duraturi nell’analisi degli effetti e della distribuzione dell’imposta, del debito pubblico, della nozione e misurazione del reddito. Sempre avendo come riferimento la verifica costante della rilevanza delle ipotesi e della coerenza tra teorie e fatti della finanza pubblica.

Il materiale disponibile, e destinato ad ampliarsi, nel sito web della Siep, intende fornire le principali coordinate bibliografiche dei contributi e biografiche degli economisti della tradizione italiana di scienza delle finanze, dalla sua prima istituzione accademica nel 1878 a Pavia, pur preceduta da corsi liberi di insegnamento già all’indomani dell’unificazione italiana, fino agli anni quaranta del Novecento. La bibliografia di Luigi Cossa fino al 1890 e quella di Benvenuto Griziotti fino al 1943 si integrano a vicenda e comunicano con il repertorio biografico degli accademici italiani di scienza delle finanze