Proposing a regional gender equality index (R-GEI) with an application to Italy

Di Bella E., Leporatti L., Gandullia L., Maggino F., 2020 – Regional Studies

“Raggiungere la parità di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze” è stato identificato dalle Nazioni Unite (ONU) come uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals SDGs) “per ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti” entro il 2030. È ormai assodato, infatti, che i divari di genere sono responsabili di perdite significative in termini di crescita economica, sviluppo umano e, più in generale, sviluppo sostenibile.

Negli ultimi 20 anni sono stati proposti vari indicatori volti a misurare l’uguaglianza di genere a livello aggregato per molti paesi del mondo. Ma cosa succede in termini di uguaglianza di genere all’interno dei confini di uno stesso Paese? Ad oggi, pochi sono i tentativi di elaborazione sistematica di indicatori di genere che tengano conto espressamente della dimensione subnazionale.

In un recente articolo, Proposing a regional gender equality index (R-GEI) with an application to Italy, pubblicato su Regional Studies, Enrico di Bella, Lucia Leporatti, Luca Gandullia e Filomena Maggino cercano di colmare questa lacuna. Focalizzandosi sull’Italia, paese che soffre notoriamente di significative disparità territoriali anche da questo punto di vista, gli autori costruiscono l’indicatore R-GEI, una versione adattata a livello regionale dell’Indice di Uguaglianza di Genere (Gender Equality Index – GEI) elaborato dallo European Institute on Gender Equality (EIGE). Sulla base del nuovo indicatore proposto, forniscono un’analisi delle componenti principali (PCA) con l’obiettivo di valutare la dimensionalità dei dati ed esplorare la variazione geografica dell’uguaglianza di genere in Italia. La PCA è eseguita su sei diverse dimensioni: Conoscenza, Potere, Salute, Denaro, Lavoro e Tempo.

Le figure che seguono rappresentano la distribuzione territoriale dell’indicatore R-GEI (Figura 1) e dei sei sotto-indicatori (Figura 2).

Figura 1 Distribuzione territoriale del Regional gender equality index (R-GEI)

La prima mappa mostra il tipico divario nord/sud che generalmente si osserva per molti altri aspetti socioeconomici quando si analizza il nostro Paese. Adottando una disaggregazione NUTS 1, si evince che le regioni settentrionali e centrali registrano un livello di parità di genere significativamente superiore a quello registrato nelle regioni meridionali o insulari. La regione con il livello più basso di parità di genere è la Calabria (46,3), mentre la regione più virtuosa è la Lombardia (70,8), seguita immediatamente dall’Emilia-Romagna (70,5).

Se confrontiamo i punteggi R-GEI con i valori GEI per i paesi dell’UE-28 nel 2017, Lombardia (70,8) ed Emilia-Romagna (70,5) si collocherebbero rispettivamente al 7° e 8° posto  in Europa, appena sotto la Francia (72,6) e il Regno Unito (71,5) e in linea con il Belgio (70,5). Le due regioni con il punteggio più basso, invece, Calabria (46,3) e Sardegna (48,7), sono ben al di sotto di Cipro (51,9) e della Grecia (51,2), i due paesi con i valori GEI più bassi.

Figura 2 Distribuzione territoriale delle dimensioni del Regional gender equality index (R-GEI)

Andando a scomporre l’indicatore composito nelle varie sotto-dimensioni sopra menzionate, dalla Figura 2 emerge come i divari di genere tra uomini e donne siano particolarmente evidenti per la dimensione del Potere, con la Sardegna che registra il  punteggio minimo di 16,2, contro il valore più alto di 66,2 ottenuto dalla Lombardia. Le dimensioni in cui le disparità regionali sono più rilevanti sono quelle di Potere, Denaro, Tempo e Lavoro. Al contrario, in termini di Salute e  Conoscenza le regioni italiane registrano differenze meno marcate tra di loro.

Lo studio offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, gli indicatori che misurano l’uguaglianza di genere a livello nazionale non sono in grado di cogliere appieno le gravi disparità regionali che invece caratterizzano il caso italiano. Realisticamente, si può presumere che ciò sia vero per la maggior parte dei Paesi europei, in particolare per quelli che registrano punteggi degli indicatori nazionali di uguaglianza di genere intermedi o bassi.

In secondo luogo, la maggior parte delle differenze nel divario di genere nord/sud italiano riguarda la sfera economica. Si noti che la dimensione riguardante la partecipazione al mercato del lavoro è strettamente legata a quella del Tempo: infatti, ancora oggi le donne tendono a sopportare un carico maggiore in termini di mantenimento e cura della famiglia. Ciò è in parte una conseguenza dei valori culturali, tradizionali e religiosi del nostro paese e tale aspetto rappresenta probabilmente il fattore maggiormente in grado di spiegare le grandi disparità regionali in questa prospettiva.

In un’ottica di policy-making, questi risultati sono potenzialmente molto utili al fine di individuare le priorità di intervento e le politiche da mettere in campo. Negli ultimi decenni, in Italia, a seguito di un processo di progressivo decentramento dei poteri decisionali verso i governi sub-nazionali, molte politiche pubbliche si sono concentrate sul raggiungimento dell’equità di genere e alcune sono state affidate ai governi regionali (es., l’implementazione di misure per favorire la conciliazione lavoro-famiglia al fine di migliorare la partecipazione femminile al mercato del lavoro).

Allo stesso tempo, al di là della legislazione per ridurre il divario salariale e favorire la promozione delle pari opportunità attuata a livello centrale, l’articolo 119 della Costituzione stabilisce la possibilità di adottare politiche di intervento differenziate su base regionale, esplicitamente volte a rimuovere gli squilibri economici e sociali, soprattutto nel settore privato dove i divari salariali di genere sono più rilevanti.

Come evidenziato da questo studio, i divari di genere nelle retribuzioni e nella partecipazione al mercato del lavoro nell’area meridionale del Paese sono oggi una questione molto rilevante e la loro riduzione dovrebbe diventare priorità assoluta del policy-maker. Inoltre, per quanto riguarda le politiche di conciliazione lavoro-famiglia, gli asili nido pubblici sono amministrati prevalentemente dai governi locali (Comuni) e presentano ampie disparità in termini di disponibilità e offerta tra le diverse regioni. Secondo l’ISTAT (2019), nel nord-est d’Italia il numero di servizi di asili nido pubblici è 18,3 per 100 bambini sotto i due anni, mentre scende a 5,6 per 100 bambini al sud. È evidente che il miglioramento della disponibilità di servizi educativi per l’infanzia in queste regioni può essere determinante per ridurre le differenze territoriali nella partecipazione femminile alla forza lavoro.

Per concludere, è necessario un approccio regionalizzato all’uguaglianza di genere per stabilire le priorità e indirizzare al meglio le politiche da implementare a livello locale e centrale. L’indice R-GEI può diventare uno strumento utile, sia per i governi nazionali sia per quelli decentrati, al fine di indirizzare le risorse verso quelle regioni che presentano maggiori divari di genere e guidare le politiche pubbliche verso gli interventi più adatti ad affrontare le criticità di ciascuna regione.

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